Piantare un albero per Neda è giusto e doveroso, perché è donna e iraniana. E appartiene a quella metà del cielo che deve lottare, quotidianamente, per vedere riconosciuti alcuni dei propri diritti.Non solo in Iran.
In Italia la conosciamo come Neda Soltani ma il suo nome è Neda Agha Soltan. Studiava filosofia, amava la musica ed è diventata – senza volerlo – il simbolo della lotta per la libertà in Iran. E’ morta lo scorso giugno, a 26 anni, uccisa da un cecchino durante le proteste successive alle contestate elezioni presidenziali. Non indossava jeans e maglietta: rispettava il codice di abbigliamento femminile in vigore in Iran da oltre trent’anni: aveva il soprabito e il foulard le copriva i capelli.
Oggi sarebbe dovuto intervenire anche Caspian Makan, il fidanzato o sedicente tale. Ad intervistarlo per primo, in Turchia dov’era scappato, era stato il giornalista anglo-greco Iason Athanasiadis che nei giorni scorsi ha però pubblicato un articolo sul Global Post in cui afferma che Caspian Makan non era il fidanzato di Neda al momento della sua morte e avrebbe sfruttato a proprio favore l’attenzione mediatica. Non so cosa ci sia di vero in tutto questo ma credo sia opportuno affinare il nostro spirito critico e non credere a tutto quanto ci viene detto.
Sull’altopiano iranico gli integralismi ci sono sempre stati, purtroppo. Il poeta Hafez non visse mai a corte ma ebbe la protezione di diversi principi: dapprima il governatore del Fars, vassallo dei Mongoli, poi dei Mozaffaridi: il primo si rivelò un principe duro e rigido tant’è che ordinò la chiusura delle taverne, suscitando la disperazione dei buontemponi. Suo figlio, Shah Shoja (m. 1383) fece invece riaprire le taverne ma Hafez non ci andava comunque d’accordo. A questo sovrano ne successe un altro, deposto nel 1387. Nei suoi versi il poeta persiano Hafez sottolinea appunto i cicli della storia: le taverne (simbolo di dissolutezza e pure di libertà) chiudono e poi riaprono, gli integralisti vengono e poi se ne vanno, bisogna soltanto avere pazienza. E infatti il poeta Hafez scrisse:
Se solo le porte delle taverne potessero essere nuovamente aperte, se solo i nodi delle misure repressive potesero essere sciolti! Sii paziente, per volere di dio riapriranno, riapriranno grazie alla purezza dei bevitori mattutini. Stanno chiudendo le porte delle taverne, o dio, non concedere la tua approvazione, perché così apriranno le porte dell’ipocrisia.
Oggi i pericoli all’orizzonte sono molti e credo che questa iniziativa non debba essere contro l’Iran ma piuttosto per l’Iran. Per questo motivo invito il Comitato dei Giusti e il Comune di Milano a piantare il prossimo albero in questo Giardino alla memoria di Abolhassan Sardari, il giusto iraniano riconosciuto come tale dalla Storia ma non ancora dal Museo dell’Olocausto di Gerusalemme per le evidenti tensioni tra Israele e Teheran.
Non dobbiamo perdere la memoria. Nel 538 a.C. il sovrano persiano Ciro il grande emise un editto permettendo agli ebrei di fare ritorno in patria e ricostruire il tempio di Gerusalemme. Durante la Seconda Guerra mondiale a salvare migliaia di ebrei dall’Olocausto fu l’iraniano Sardari. Lavorava all’ambasciata iraniana a Parigi e all’insaputa dei suoi superiori utilizzò i passaporti in bianco trovati in un cassetto per dare la cittadinanza iraniana a migliaia di ebrei europei che poterono così trovare scampo in Iran. E ancora, nel 1941 un migliaio di bambini ebrei polacchi trovarono transitarono per un lungo periodo nel campo profughi di Teheran allestito dagli inglesi. E dall’Iran riusciranno poi ad arrivare in quella terra che ancora si chiamava Palestina.
Neda Agha Soltan è figlia di questa cultura millenaria del rispetto e della tolleranza. La sua storia è legata in modo indissolubile a quella di Ciro il Grande e di Abolhassan Sardari. Ringrazio il Comitato dei Giusti e il suo presidente Gabriele Nissim, ringrazio il sindaco di Milano Letizia Moratti e li invito a dare continuità a questa iniziativa onorando anche la memoria di Sardari. Perché questo Giardino è per i giusti di ogni paese e di ogni tempo.